Parole di scuola, Edizioni Erickson 2014, è un concentrato di consapevolezza, suoni e, appunto,
parole. La frase che mi ha colpita di più di tutto il libro è stata:
“Non si può fare l’educatore quindi l’insegnante senza empatia, si può fare il somministratore di sapere, il misuratore di conoscenza, ma non l’insegnante! ”
Mariapia Veladiano conosce bene il mondo della scuola, ha insegnato lettere per oltre vent’anni, e successivamente è diventata preside. Conosce i ragazzi, le difficoltà e i successi. Conosce i professori le loro frustrazioni ma anche i loro sogni.
Pur sottolineando il lato critico della scuola, quello che sta perdendo fiducia, che fatica adavanzare giorno dopo giorno, Mariapia Veladiano cerca di donare un messaggio di speranza, e sottolinea l’importanza di capire le parole giuste per capire sé stessi, gli altri,il mondo.
La vita.
La trama:
Ma i libri a scuola bisogna bene che i ragazzi Ii possano trovare. Bisogna disseminare la
loro strada di libri belli. Perché anche lo studente più riluttante possa trovare quello che
lo fa innamorare. Non si può immaginare un modo diverso perché questo capiti se non
quello di farli incontrare: esporre gli studenti al libro e alla lettura.
Partendo dall’insegnate apparentemente perfetto, Albus Silente di Harry Potter, l’autrice
dona alle parole il potere di descrivere il mondo scolastico, le paure di insegnanti e
alunni, aspettative e sogni, con l’augurio che l’entusiasmo non venga mai meno, anzi si
arricchisca sempre di novità e vinca tutte le sfide del momento.
La letteratura ci ha consegnato in mille forme la paura dello studente: di essere
emarginato, di un maestro severo, di compagni gagliardamente crudeli secondo I’ età, di
non capire, di restare indietro, fuori.
Oggi la paura è anche dell’insegnante. E la paura è una pessima compagna di strada.
C’è uno schiacciamento della nostra esistenza quotidiana sulla paura.