Ameya GABRIELLA Canovi – Di troppa (o poca) famiglia.
Conoscere, elaborare serve per procedere più leggeri e responsabili. Poiché fino a quando continueremo a guardare fuori – l’altro, la famiglia, la società – perderemo sempre di vista noi stessi. Per me la famiglia è prima di tutto un posto.
Che ci piaccia o no, è nella famiglia che accade tutto. Anche nella sua assenza. La famiglia nucleare è di fatto un condominio di persone ed eventi precedenti.
il dolore che non è stato guardato e sviscerato resta occulto e silente dentro di noi per anni, per manifestarsi con picchi improvvisi e tumultuosi, come un uragano emotivo pronto a travolgere coloro che chiamiamo «i nostri cari», e non solo.
Anche le amicizie sono una specie di famiglia.
La famiglia è il primo posto dove apprendiamo a vivere, per poi proseguire.
«All’infanzia non si sfugge, resta attaccata addosso come un odore.» TOVE DITLEVSEN
L’aggregazione familiare obbedisce a regole, patti e convenzioni. È la sede primaria degli affetti, espressi, ricevuti, negati, non pervenuti o non percepiti.
Nella famiglia sperimentiamo al contempo il bisogno di appartenenza e quello di individuazione. Lì siamo chiamati a coniugare vicinanza e distanza, e questo si rifletterà poi nella relazione adulta. E sempre lì ci poniamo le prime domande su noi stessi.
Il passato ci influenza, è un dato di fatto.
Sono convinta, per esperienza sul campo, che ogni troppo è generato da un troppo poco e che gli estremi opposti creino le stesse conseguenze.
Una famiglia di persone disimpegnate, non interessate le une alle altre, procurerà le stesse carenze emotive di una che stringe i suoi membri in una morsa senza scampo.
I familiari possono essere sia motivo di orgoglio, qualcuno a cui restare fieramente uniti con spirito di squadra, sia ragione di profonda vergogna.
Ameya GABRIELLA Canovi – Di troppa (o poca) famiglia, la trama:
Quando pensiamo alla famiglia, la prima immagine che ci viene in mente è, con buona probabilità, quella di due genitori e dei relativi figli.
D’altronde, oggi il concetto di famiglia è talmente interiorizzato e condiviso che quasi mai si riflette sul suo reale significato e sul ruolo che gioca nella vita di ognuno di noi.
C’è persino chi sostiene di non averne una, ignorando che famiglia si è, prima di tutto, con se stessi: tutti noi, che ci piaccia o no, siamo anche la somma delle storie di chi ci ha preceduto.
Proprio di questo tratta Ameya Canovi nel suo nuovo libro, partendo dal presupposto che ogni nucleo familiare è come un albero: le radici, forti oppure fragili, lo nutrono e sostengono, e i rami crescono dando origine, in alcuni casi, a foglie e frutti, in altri restando «a maggese».
Insieme a coloro che sono venuti prima, quest’albero forma una foresta che può essere prospera e rigogliosa o, al contrario, poco accogliente.
Trovare il coraggio di prendere il proprio vissuto e addentrarsi in quel bosco alla scoperta delle tracce di chi ci ha preceduto non è facile.
Spesso, però, è l’unico modo per conoscere davvero se stessi. È questo il viaggio in cui ci accompagna l’autrice:
fra trattazione, ricordi personali, soste riflessive e testimonianze in cui ogni lettore può riconoscersi, dimostra come ricostruire la propria storia familiare sia fondamentale per scoprire le proprie eredità emotive, la presenza di traumi transgenerazionali, il modo in cui ci relazioniamo a noi stessi e agli altri.
Tenendo a mente che, qualunque siano la nostra storia e le nostre radici, è sempre possibile prendersi cura delle ferite e trasformarle in risorse.