Lo statuto delle lavoratrici: Come ti senti, a cosa hai diritto, dove possiamo cambiare.
Il lavoro se ti dovesse piacere, del resto, non si chiamerebbe lavoro, da labor, cioè travaglio.
Ciascuno di noi è il millennial presuntuoso di qualcun altro e gode delle conquiste – tecnologiche, sindacali, culturali – di qualcun altro. Si chiamerebbe, in teoria, anche progresso.
La great resignation che aveva luogo negli Stati Uniti nella primavera del 2020 era stata trattata dai nostri giornali dapprima come una notizia di Esteri. Migliaia e poi milioni di lavoratori avevano iniziato, come in un passaparola, a dimettersi da uffici, bar, ospedali, catene di montaggio. I numeri forniti dal Bureau of Labor Statistics negli Stati Uniti continuavano a lievitare: a marzo 2022 i posti di lavoro vacanti erano 11 milioni e 500 mila, e le dimissioni avevano raggiunto un picco. Quattro milioni e mezzo di persone si erano licenziate: il 3 per cento della forza occupazionale complessiva.
In Italia, nel 2021, si sono dimessi due milioni di lavoratori dipendenti, e nel 2022 altri 2,2 milioni.
La trama:
Lo Statuto dei lavoratori è in vigore in Italia dal 1970. Irene Soave ne rivisita alcuni articoli leggendoli alla luce di quanto succede oggi alle donne e tra le donne nel mondo del lavoro.
Nella sua inchiesta sentimentale – condotta col piglio concreto e rapido della giornalista, ricca di dati ma accesa dalla passione di ciò che vede, sente, è – Irene Soave fotografa la collettiva disaffezione al lavoro individuandone le radici, i sintomi e le conseguenze:
Abbiamo davvero tutti il burnout?
Il lavoro flessibile davvero ci rende liberi?
Davvero una puerpera su due deve considerare inevitabile abbandonare la vita attiva?
Davvero un compito va svolto bene pure se è brutto?
Davvero cambiare vita è una soluzione?
Irene Soave guarda a sé e al mondo, colleziona storie, torna indietro nel tempo e immagina un futuro possibile per compilare con il suo stile serrato e caldo un compendio di chi siamo e come siamo quando siamo al lavoro oggi, con quali disperazioni e quali prospettive. Ne risulta un’analisi puntuale della nostra società, ancora impigliata negli stereotipi, ancora poco inventiva nel pensare un mondo del lavoro in cui tutti e tutte si stia meglio, si stia bene, si possa stare senza rinunce. Tutti e tutte.
Perché “la manutenzione dell’habitat, la cura a che non sia respingente, il conflitto necessario per difenderlo dall’ingordigia e dalla prepotenza di chi lo comanda, e ritiene di possederlo sono mansioni collettive”.
E un mondo del lavoro che includa le donne è più abitabile anche per gli uomini.