Kim-Ji Young, nata nel 1982

Kim-Ji Young, nata nel 1982

La storia della Corea di oggi dove si può abortire una bambina perfettamente sana solo perché femmina.

Dove le donne vengono sempre dopo i maschi, i loro desideri tanto rinnegati da portare alla pazzia.

Almeno è quello che è successo alla nostra protagonista che inizia a vivere le vite degli altri immedesimandosi totalmente tanto che sembra quasi una posseduta.

Sinceramente non ho trovato tantissime differenze tra la corea e il sud Italia dove vivo.

Noi donne abbiamo tantissima strada da fare per ciò che riguarda l’uguaglianza tra i sessi.

È proprio vero che il cammino iniziato negli anni sessanta con il femminismo non si è ancora concluso, nemmeno nei paesi cosiddetti democratici come i nostri.

Kim-Ji Young, nata nel 1982, la trama:


Kim Ji-young, che è stata una normalissima bambina e adolescente, ora ha trent’anni, da un paio di anni è sposata e ha lasciato malvolentieri il lavoro per prendersi cura della sua bambina a tempo pieno.

Un giorno, però, Ji-Young inizia a fingere di essere un’altra persona. Prima impersona sua madre, poi una vecchia compagna di scuola: non è uno scherzo, si immedesima completamente in loro, imitandone la voce e il pensiero in modo così perfetto che sembra quasi posseduta da un demone.

All’inizio il marito liquida in fretta questi incidenti, ma la situazione peggiora e presto diventa chiaro che Ji-Young soffre di una sorta di disturbo mentale. Così le organizza sedute di terapia con uno psichiatra, che inizia a registrare la sua storia, che è poi la storia di tutte le donne.

Una storia di pregiudizi, di limitazioni, di accuse e di colpe attribuite gratuitamente; una storia di soprusi e di silenzi, di trattamenti differenziati – a scuola, a casa, nel lavoro; una storia in cui una donna è costretta a scegliere tra la carriera e la famiglia, in cui è sottoposta a severo giudizio qualunque cosa faccia e in cui la sua sofferenza – fisica e mentale – non conta mai davvero quanto quella degli altri, neppure per chi le vuole bene.

Un romanzo crudo, ambizioso, che offre uno sguardo onesto e senza veli sulla condizione delle donne nella società coreana, e non solo, e che racconta la misoginia attraverso la metafora spiazzante e radicale di una donna che, pur di essere finalmente libera, è costretta a perdere se stessa e la propria voce.

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