Scarcity. Perché avere poco significa tanto

In questi giorni ho letto il libro:

Scarcity. Perché avere poco significa tanto.

La scarsità imprigiona la mente che sia essa di: cibo, soldi, affetti o tempo, perché non ci fa concentrare su nient’altro.

Questo perché la mente si orienta automaticamente, con forza verso i bisogni insoddisfatti.

Concentrarci sull’abbondanza ci permette di focalizzarci su ciò che abbiamo già, altrimenti rischiamo di trascurarlo.

Una scienza della scarsità esiste già. Si chiama economia. L’economia è lo studio di come usiamo mezzi limitati per soddisfare desideri che sono illimitati. Ognuno di noi possiede una quantità limitata di denaro; nemmeno i più ricchi possono comprare tutto.

La scarsità fisica reagisce ai prezzi, talvolta in modi inattesi, adattandosi al mercato. Sebbene la scarsità sia ovunque, non lo è invece la sensazione di scarsità. Infatti la sensazione di scarsità dipende sia da ciò che è disponibile, sia dai nostri gusti.

Avvertire la scarsità ci rende infelice, la scarsità riduce tutte le componenti della larghezza di banda: ci rende meno intuitivi, meno lungimiranti, meno controllati. E gli effetti sono consistenti.

Le scadenze sono efficaci proprio perché creano scarsità e permettono alla mente di concentrarsi.

Se il tempo è poco, lo utilizziamo al meglio, sia nel lavoro che nello svago.

Ed è difficile autoingannarsi per lavorare con assiduità fingendo una scadenza che non esiste.

La scarsità produce un effetto tunnel, perché ci focalizza facendoci restringere il campo.

Questo non sempre è positivo, soprattutto se protratto per un lungo periodo perché potrebbe farci distogliere l’attenzione dalle cose veramente importanti.

Scarcity. Perché avere poco significa tanto, la trama:

Perché la povertà è così difficile da sradicare? E perché i piani per contrastarla si rivelano quasi sempre inefficaci? Per combattere la povertà – la scarsità cronica di denaro – occorre cogliere il filo che la lega a tanti altri esempi di scarsità: dalla mancanza di tempo di chi è oberato dagli impegni lavorativi alla solitudine di chi si trasferisce in una nuova città.

Sendhil Mullainathan e Eldar Shafir dimostrano che tutte le forme di scarsità creano uno stato mentale simile. La scarsità influenza, a un livello subconscio, incontrollabile, le capacità cognitive e i comportamenti individuali e collettivi.

Concentra tutte le energie intellettuali sulle risorse che mancano, migliorando la prontezza e l’efficienza nel rispondere alle esigenze più pressanti. Ma così facendo «cattura» la mente: se siamo preoccupati per la scarsità, abbiamo meno attenzione da dedicare a tutto il resto.

Diventiamo meno intuitivi, meno lungimiranti, meno controllati: affrontare ristrettezze economiche riduce le capacità cognitive di una persona più di un’intera notte insonne.

In quest’ottica non solo la povertà globale, ma anche i problemi della nostra vita quotidiana acquistano nuova luce. La psicologia della scarsità accomuna i venditori indiani di frutta e verdura caduti nella trappola dell’indebitamento e gli uomini d’affari superoccupati che faticano a prendersi cura dei figli, i coltivatori di canna da zucchero, chi affronta una dieta e chi gestisce ospedali sovraffollati.

Se è vero che una scienza della scarsità c’è già, ed è – per definizione – l’economia, gli aneddoti, le ricerche e gli esperimenti sociali di Scarcity sono un invito a ripensare l’economia tenendo conto degli effetti cognitivi, e non solo quantitativi, della scarsità.

Una prospettiva che può avere applicazioni innovative per i sistemi di welfare e le politiche di sviluppo globale, oltre che per orientare scelte e comportamenti di tutti i giorni, migliorando la qualità della nostra vita.

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