A me né i premi né le punizioni sui bambini mi sono mai piaciuti. Le punizioni per ovvi motivi anche se ammetto che qualche scapaccione Second durante i suoi terrible twos li ha presi, con miei grandi sensi di colpa. Anche i premi non mi sono mai piaciuti, nemmeno quando li fanno vedere le tate (che io adoro) sia che siano materiali o solo parole, perché è sempre una manipolazione anche se positiva, invece io ci tengo che i miei figli imparino già da piccoli a pensare con la loro testa anche contro il mio giudizio se è necessario. Un motivo ad esempio per cui sono contraria alla paghetta in cambio di servizi in casa, perché a me qualcuno mi paga per fare le pulizie? Non viviamo tutti nella stessa casa? E’ giusto quindi collaborare, poi quando diventeranno più grandi i Child avranno la loro bella paghetta ma solo per fargli capire il valore dei soldi non come ricompensa.
La trama:
Basato sull’idea della comunicazione non violenta di Marshall Rosenberg, Crescere nella fiducia guarda alle conseguenze negative che i premi e le punizioni hanno sui bambini e sulla relazione tra bambini, genitori, insegnanti e ambiente.
La via delle ricompense e delle punizioni è la via preferenziale per portare i nostri bambini alla vergogna, alla paura, alla competizione e alla manipolazione. L’alternativa è un metodo basato sulla fiducia.
Crescere nella fiducia riguarda il mondo che c’è dietro il concetto di giusto e sbagliato, una dimensione dove nessuno infrange il loro innato senso della moralità, la loro brama di apprendimento e la loro capacità naturale di ringraziare.
Questo non significa lasciare i bambini a se stessi, ma riguarda il prendersi cura di noi stessi ed essere chiari rispetto a ciò che vogliamo per il loro bene e attenti a cosa accade al loro mondo interiore.
Crescita che può avvenire, solo se noi adulti siamo un esempio di vita nel nostro essere autentici e sociali, e se i loro bisogni sono importanti quanto i nostri.
Anteprima del libro:
«Se finisci quello che hai nel piatto, puoi giocare ancora fuori, per una mezz’oretta». «Il primo che termina il compito può pulire la lavagna». Anch’io, come moltissime altre persone, ho utilizzato i “premi” per manipolare il comportamento dei bambini, per lungo tempo. Sì, credo che premiare i bambini sia una forma di manipolazione, perché questo genere di gratificazione viene utilizzata con lo scopo di portare i bambini a fare quello che vogliamo noi.
Per alcuni di noi questo concetto potrebbe sembrare nuovo. Probabilmente abbiamo ormai compreso che le punizioni sono dannose: quando le utilizziamo manipoliamo i nostri bambini, affinché facciano quello che vogliamo noi; di conseguenza ostacoliamo la loro personale comprensione di come realmente desiderino vivere la propria vita.
I premi funzionano nella stessa maniera, solo che questo pensiero potrebbe risultare nuovo. Dando una ricompensa, io sottolineo che sono quello che decide ciò che è giusto: mangiare tutto quello che è nel piatto è, ad esempio, un concetto valido per tutti; avanzare qualcosa, invece, è un “peccato”, uno spreco di cibo prezioso, senza considerare il dispendio economico.
Io, persona adulta, so che cosa è bene. Mi metto in alto, su un piedistallo. Io so che cosa le persone dovrebbero fare o meno: preferirei, quindi, che le persone attorno a me si conformassero con questa idea. Non distribuisco gratificazioni solo per il gusto di farlo. Consapevolmente o meno, ho una motivazione ulteriore, ovvero, se gli do un premio, il bambino si comporterà nuovamente come desidero io, nella speranza di ricevere di nuovo la ricompensa. Forse stai pensando: «È giusto così. So io cos’è bene per i miei bambini. Sono un adulto e sono responsabile per la loro educazione. Se facessi fare loro tutto quello che vogliono, il caos regnerebbe sovrano».
Evitare di utilizzare le gratificazioni, però, non significa lasciare i bambini a briglie sciolte. Vedremo che ci sono alternative valide ai premi. In questo contesto desidero solo puntualizzare che elargire premi, come conseguenza, porta il destinatario a essere soddisfatto di sé stesso solo nel momento in cui riceve l’approvazione di altre persone.
Probabilmente non hai mai pensato alla gratificazione in questo modo, ma forse quanto scritto sopra stuzzica la tua curiosità. Per favore prosegui nella lettura. Ma fai attenzione! Questo libro potrebbe alterare le tue idee sull’educazione dei bambini, totalmente. Questo è quanto è successo a me. La parola “premio” viene utilizzata in questo testo per indicare un qualcosa – che sia un cibo, un giocattolo o una coccola, oppure una promessa – inteso come ricompensa al fatto che i bambini fanno quello che gli viene richiesto: «Visto che hai riordinato così bene la tua cameretta, andiamo in città a mangiare un gelato».
La ragione per cui sono contraria alle ricompense spero venga chiari- ta durante la lettura di questo libro. Gli “apprezzamenti” sono invece qualcosa di diverso, da non confondere con i “premi”. L’apprezzamento può essere espresso in maniera differente, come ad esempio: «Adoro la pace e la tranquillità della tua cameretta, quando è in ordine e pulita». Oppure: «Ti piace riordinare la tua stanza?». Questi messaggi iniziano con “Io” oppure sono domande che esprimono interessamento nei confronti dell’altro. Abbiamo tutti bisogno di essere riconosciuti. Ci piace essere visti: l’apprezzamento è una via eccellente per mostrare a qualcuno che l’abbiamo visto.
Per permettere a un bambino di “crescere con fiducia”, si devono posare delle fondamenta. Nel primissimo periodo, subito dopo la nascita, i bambini hanno bisogno di un buon “attaccamento”, con uno o più adulti capaci di dare nutrimento, per creare la base di una vita piena di fiducia. Offrire al bambino un ambiente tranquillo e stabile, ben “strutturato”, è una delle vie possibili per promuovere la fiducia nel bambino. Per quanto si cerchi di esaudire i desideri del bambino, siamo in realtà noi che decidiamo quali vestiti deve indossare, che cosa deve mangiare, se può uscire… tanto per citare solo alcuni esempi.
Poco per volta il bambino crescerà e imparerà sempre di più a decidere per sé stesso, a scegliere ciò che farà o meno. Durante tutto questo processo evolutivo, noi siamo in costante dialogo con noi stessi per comprendere come guidarlo, dove mettere dei paletti e dove, invece, possiamo “mollare la presa”. Questo processo, secondo me, è qualcosa di graduale che comincia con una presenza consistente e con dei limiti precisi, più o meno su tutto quello che riguarda il bambino, per giungere all’età matura in cui il nostro contributo dovrebbe diventare una presenza di sostegno.
Possiamo acquisire fiducia nelle potenzialità di crescita e autodisciplina dei nostri figli, invece di desiderare che crescano come copie esatte di noi stessi. Si tratta di voler smettere di giocare a fare i “boss” dei nostri bambini e di scegliere, piuttosto, di stare al loro fianco, stimolandoli e sostenendoli.
Se siamo nel campo dell’educazione, se siamo noi stessi genitori, se lavoriamo con genitori ed educa- tori, potrebbe risultare un po’ complicato mettere in pratica questo nuovo approccio con il nostro team e con la nostra famiglia. Io stessa sono mamma di tre bambini. A volte ero stanca e svuotata, alle volte mi capitava persino di diventare troppo severa o intransigente. Come terapeuta del linguaggio, spesso utilizzavo adesivi e figurine come premi – sebbene questa pratica non mi lasciasse completamente soddisfatta. Conservo comunque ricordi positivi di momenti in cui mi sono permessa di prendere il comando della situazione e di rispondere ai bambini a tono, oppure di imporre soluzioni e decisioni quando c’erano discussioni.
Tuttavia, dopo aver letto il libro Comunicazione Non Violenta di Marshall B. Rosenberg e Amarli senza se e senza ma di Alfie Kohn, ho deciso di smettere di esitare. La soluzione è stata quella di mettere premi e punizioni da parte, tranne in quei momenti in cui non riuscivo a trovare nessun’altra risposta adeguata. Sono arrivata a questa conclusione senza spendere troppo tempo o energia; chissà, magari anche tu deciderai, dopo questa lettura, di arrivare alla medesima soluzione.